La bici elettronica che irrita i puristi
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La bici elettronica che irrita i puristi
Usata per la prima volta in gara al Tour della California. Ha un cambio computerizzato
Il New York Times: tramonta l'ultima macchina azionata dall'uomo. «Più veloce e facile»
NEW YORK — Il nobile tedesco Karl Drais, che nel 1816 inventò la draisina, precursore della moderna bicicletta, si starà rigirando nella tomba. Al Tour della California, durante lo scorso weekend, una dozzina di ciclisti di ben tre squadre in gara (Columbia High Road, Garmin Slipstream e Rabobank) hanno corso per la prima volta su biciclette a cambio elettronico Dura-Ace Di2 7970, prodotte dal colosso nipponico Shimano.
Ma se l'azienda giapponese annuncia «l'inizio di una nuova era», i puristi sono già in rivolta perché temono che queste innovazioni tecnologiche finiranno per compromettere lo spirito stesso che si cela dietro lo sport aerobico più duro al mondo, già minato dai continui scandali di doping.
«In una società sempre più robotizzata la bicicletta è l'ultima macchina azionata dall'uomo », teorizza il New York Times in un lungo articolo subito volato al primo posto nell'hit parade dei pezzi più letti del suo sito web.
Sul versante opposto i fautori del cambio elettronico, secondo i quali si tratta soltanto dell'ultima, logica tappa di una lunga storia di innovazioni tecnologiche e di materiali — dall'alluminio al titanio, per arrivare al carbonio — che in quasi due secoli hanno trasformato la bicicletta in un oggetto pressoché perfetto.
Tra questi ultimi c'è anche Campagnolo, la leggendaria ditta fondata dal vicentino Tullio Campagnolo nel 1933, considerata uno dei marchi più prestigiosi al mondo nel campo dei componenti per biciclette da corsa. Nonostante abbia messo a punto il primo prototipo di cambio elettronico già nel 2002, ben prima del rivale Shimano, Campagnolo ha deciso di rimandarne il lancio in produzione a causa della recessione economica mondiale. «Abbiamo avuto feedback estremamente positivi sulla velocità, precisione e facilità d'uso», spiega al New York Times il portavoce della ditta Lerrj Piazza. Anche il loro sistema prevede un comando elettronico, sia per il cambio posteriore che per il deragliatore anteriore. Il funzionamento è garantito da una piccola batteria posta in prossimità del porta borraccia e la leva meccanica per azionare i cambi è sostituita da un pulsante. Al ciclista non è richiesto, quindi, alcuno sforzo perché non c'è niente di meccanico da azionare nel comando. Il sistema elettronico non dipende più dal posizionamento dei cavi poiché l'unico impulso a passare dal comando al deragliatore o al cambio è di tipo elettronico. Trattandosi solamente di un pulsante, poi, sarà più facile cambiare impugnando il manubrio in diverse posizioni.
Quanto basta, insomma, per scatenare un putiferio. «La gente sceglie di correre in bici proprio perché richiede uno sforzo umano — punta il dito lo storico della bicicletta Raymond Henry —. E perché non esiste sport più semplice, indipendente ed autonomo».
«Fra tre anni al massimo ogni bici da corsa avrà il cambio elettronico — ribatte Bob Stapleton, proprietario della Columbia, in gara al Tour of California —. Sarà il nuovo IPod».
Ma anche se la nuova tecnologia dovesse funzionare — già negli anni Novanta, va ricordato, c'erano stati due tentativi sfortunati della francese Mavic — secondo gli addetti ai lavori cambierà ben poco. «Coppi, Armstrong e Merckx trionferebbero ancora senza il cambio elettronico», mette in guardia il newyorchese Richard Miller, ciclista professionista. «Del resto, il nostro motto è "gambe, testa e cuore": servono per vincere, indipendentemente dal mezzo tecnico».
(da Corriere.it)
Il New York Times: tramonta l'ultima macchina azionata dall'uomo. «Più veloce e facile»
NEW YORK — Il nobile tedesco Karl Drais, che nel 1816 inventò la draisina, precursore della moderna bicicletta, si starà rigirando nella tomba. Al Tour della California, durante lo scorso weekend, una dozzina di ciclisti di ben tre squadre in gara (Columbia High Road, Garmin Slipstream e Rabobank) hanno corso per la prima volta su biciclette a cambio elettronico Dura-Ace Di2 7970, prodotte dal colosso nipponico Shimano.
Ma se l'azienda giapponese annuncia «l'inizio di una nuova era», i puristi sono già in rivolta perché temono che queste innovazioni tecnologiche finiranno per compromettere lo spirito stesso che si cela dietro lo sport aerobico più duro al mondo, già minato dai continui scandali di doping.
«In una società sempre più robotizzata la bicicletta è l'ultima macchina azionata dall'uomo », teorizza il New York Times in un lungo articolo subito volato al primo posto nell'hit parade dei pezzi più letti del suo sito web.
Sul versante opposto i fautori del cambio elettronico, secondo i quali si tratta soltanto dell'ultima, logica tappa di una lunga storia di innovazioni tecnologiche e di materiali — dall'alluminio al titanio, per arrivare al carbonio — che in quasi due secoli hanno trasformato la bicicletta in un oggetto pressoché perfetto.
Tra questi ultimi c'è anche Campagnolo, la leggendaria ditta fondata dal vicentino Tullio Campagnolo nel 1933, considerata uno dei marchi più prestigiosi al mondo nel campo dei componenti per biciclette da corsa. Nonostante abbia messo a punto il primo prototipo di cambio elettronico già nel 2002, ben prima del rivale Shimano, Campagnolo ha deciso di rimandarne il lancio in produzione a causa della recessione economica mondiale. «Abbiamo avuto feedback estremamente positivi sulla velocità, precisione e facilità d'uso», spiega al New York Times il portavoce della ditta Lerrj Piazza. Anche il loro sistema prevede un comando elettronico, sia per il cambio posteriore che per il deragliatore anteriore. Il funzionamento è garantito da una piccola batteria posta in prossimità del porta borraccia e la leva meccanica per azionare i cambi è sostituita da un pulsante. Al ciclista non è richiesto, quindi, alcuno sforzo perché non c'è niente di meccanico da azionare nel comando. Il sistema elettronico non dipende più dal posizionamento dei cavi poiché l'unico impulso a passare dal comando al deragliatore o al cambio è di tipo elettronico. Trattandosi solamente di un pulsante, poi, sarà più facile cambiare impugnando il manubrio in diverse posizioni.
Quanto basta, insomma, per scatenare un putiferio. «La gente sceglie di correre in bici proprio perché richiede uno sforzo umano — punta il dito lo storico della bicicletta Raymond Henry —. E perché non esiste sport più semplice, indipendente ed autonomo».
«Fra tre anni al massimo ogni bici da corsa avrà il cambio elettronico — ribatte Bob Stapleton, proprietario della Columbia, in gara al Tour of California —. Sarà il nuovo IPod».
Ma anche se la nuova tecnologia dovesse funzionare — già negli anni Novanta, va ricordato, c'erano stati due tentativi sfortunati della francese Mavic — secondo gli addetti ai lavori cambierà ben poco. «Coppi, Armstrong e Merckx trionferebbero ancora senza il cambio elettronico», mette in guardia il newyorchese Richard Miller, ciclista professionista. «Del resto, il nostro motto è "gambe, testa e cuore": servono per vincere, indipendentemente dal mezzo tecnico».
(da Corriere.it)
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