E la gente li chiama...
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E la gente li chiama...
E la gente li chiama handicappati...
Un ragazzo down ci ha insegnato come ognuno di noi dovrebbe guarire da un malattia molto grave che sta contagiando così tanta gente da sembrare una vera e propria epidemia: l'indifferenza. L'indifferenza. La paura di mettersi in gioco. Il credere nell'inevitabilità del male. La fine della parola solidarietà. Il grigio delle nostre anime chiuso nelle nostre roccaforti. La nostra gabbia.
La storia forse la conoscete tutti. Un'anziana stava per essere derubata ed il ragazzo l'ha avvisata riuscendo a sventare il furto. Il giovane è stato però insultato e malmenato dal ladro prima di fuggire. Quello che, in questa vicenda, lascia sconcertati è che, oltre ad un giornalista che aveva chiesto di fermare l'autobus, nessun altro ha fatto nulla, anzi qualcuno ha avuto il coragggio di dirgli che «in questi casi meglio non mettersi in mezzo».
Quel ragazzo, invece, ha dimostrato a tutti cosa vuol dire essere "responsabili". Il termine latino corrispondente al termine responsabilità è sponsio che vuol dire promessa, impegno, un suo sinonimo è praestatio che vuol dire rendersi garante di qualcuno o di qualcosa.
Io credo che è questo il segno che ha lasciato quel ragazzo: ha saputo farsi carico di chi si trovava in difficoltà, non lo ha lasciato solo di fronte ad un soppruso.
Io credo che è questo il segno che ha lasciato quel ragazzo: ha saputo farsi carico di chi si trovava in difficoltà, non lo ha lasciato solo di fronte ad un soppruso.
Ognuno di noi non esisterebbe se non fosse stato in qualche modo accolto, cresciuto, amato da qualcuno. Vive grazie alla promessa che altri si sono fatti di accudirlo, di fare spazio nel proprio cuore e nella propria mente per lui. Questo dovrebbe essere il nostro imprinting. Ma spesso ce ne dimentichiamo: invece di sostenerci, di darci una mano, sembra quasi che preferiamo ostacolarci, spezzare la catena che ci unisce agli altri nell'illusione di sentirci autosufficienti, liberi o semplicemente perchè siamo diffidenti e prigionieri della paura. In realtà poi ci sentiamo solo più soli e più impauriti.
Quel ragazzo ci ha insegnato che essere responsabile dovrebbe essere un impegno quotidiano, tutti dovremmo sentire quel legame che ci unisce gli uni agli altri, tutti dovremmo imparare ad agire, a non lavarcene le mani. Non assumersi responsabilità sembra essere, invece, diventato l'unico modo che consosciamo per non sentirci colpevoli, ognuno chiuso nel proprio angolo ben difeso.
Ed è significativo che a essere protagonista è stato proprio un ragazzo che è considerato dai più come "inferiore". Quanto, invece, i cosiddetti "diversi" avrebbero da insegnarci se i pregiudizi cadessero una volta per tutte e se nel mondo si facesse più spazio per loro. Forse siamo noi, i cosiddetti "normali" a non sapere più come ci si relaziona con gli altri.
[http://giuba47.blog.lastampa.it/saper_vedere/2007/01/quando_la_gente.html]
NiMo- MODERATORE
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